Allerta sanitaria alimentare: come ci si comporta quando qualcosa va storto?

La verità è che, pur lavorando con la massima attenzione, la possibilità di commettere errori nelle aziende alimentari non potrà mai essere completamente scongiurato. Quindi, facciamo chiarezza su cosa succede e come si comunica quando in produzione qualcosa va storto e si verifica un’allerta sanitaria.

Innanzitutto va chiarito che l’allerta sanitaria, avendo carattere di prevenzione, deve essere emanata al minimo dubbio di rischio per il consumatore. L’allerta sanitaria può essere emanata dall’autorità competente, ad esempio l’AUSL, a seguito di un’analisi condotta su prodotti presi a campione sugli scaffali del supermercato. Oppure, può essere la stessa azienda che nei suoi controlli di routine si accorge di anomalie sul prodotto e quindi deve emanare l’allerta sanitaria.

L’allerta sanitaria si può concretizzare in un ritiro di prodotto dagli scaffali e dai magazzini del supermercato quando occorre stoppare la vendita di un lotto di produzione, ma non c’è un reale  pericoloso per la salute del consumatore. Accade ad esempio quando c’è un errore nell’etichetta, come la percentuale di un ingrediente o la non indicazioni di un alto, sempre che non sia un allergene. Questi errori delle aziende alimentari sono  passibili di sanzioni di legge, ma non dannosi per i consumatore, per questo il ritiro non è retroattivo, ovvero non si applica al prodotto già venduto.

Altre volte l’allerta sanitari si può trasformare nel richiamo del prodotto. Questo avviene quando è stato messo in commercio un lotto che è pericoloso per la salute del consumatore poiché contiene sostanze tossiche, o corpi esterni, o allergeni non dichiarati in etichetta. A differenza del ritiro, il richiamo ha effetto retroattivo, cioè il prodotto va ritirato tempestivamente non solo dagli scaffali ma anche dalle case dei consumatori che lo hanno comprato. Per questo il richiamo deve essere comunicato subito a tutti i punti vendita della GDO e del dettaglio che hanno sugli scaffali il prodotto affinché lo tolgano immediatamente e appongano dei cartelli di avvertimento alla clientela. Inoltre, è responsabilità dell’azienda far arrivare l’informazione sul ritiro del prodotto al maggior numero di persone e in particolare a chi può averlo già acquistato ed è quindi esposto ad un rischio. La legge dice che in questa comunicazione si devono utilizzare tutti i mezzi che l’azienda ha a disposizione e che ritiene necessari sulla base dell’entità del rischio.

Come potrete immaginare, entrambe le procedure possono avere un grosso impatto d’immagine sulla marca e quindi vanno gestite adeguatamente dall’azienda alimentare che dovrebbe aver  precedentemente nominato al su interno un  Comitato di Gestione della Crisi. L’azienda deve anche essere organizzata per avere la massima  rintracciabilità del prodotto cioè conoscere esattamente tutti i punti vendita in cui è finito il lotto che si ritiene contaminato. Quindi, serve avere un database completo e aggiornato dei contatti dei clienti e dei loro referenti interni che dovrebbero essere disponibili 24 ore su 24 per ricevere tali segnalazioni. Il problema sono ovviamente i clienti più piccoli, come i negozi al dettaglio, e meno strutturati su queste procedure.

L’UE ha uno dei più alti standard di sicurezza alimentare al mondo. Fin dal 1979 è stato creato un portale che si chiama RASFF e che raccoglie gli avvisi sulla sicurezza degli alimenti a cui dal 2014 si è aggiunta una sezione Consumatori che fornisce le ultime informazioni sui richiami di prodotti alimentari e le avvertenze sulla salute pubblica in tutti i paesi dell’UE. Inoltre, ci sono testate come Il fatto Alimentare che rintracciano le comunicazioni di allerta che le aziende fanno alla GDO e ne danno notizia pubblicamente. Per questo il consiglio per le aziende è sempre di comunicare tempestivamente e con massima trasparenza, prima che le informazioni trapelino comunque da altre fonti, magari non con la stessa chiarezza o alimentando allarmismi eccessivi  e generando seri problemi di credibilità per il brand.

Valentina Lanza