Birra Messina: quando serve fare un patto col diavolo per crescere

Questa estate all’improvviso è comparso un nuovo marchio fra quelli di tante birre italiane che si trovano sia nei supermercati che nei bar e nei locali della nostra Penisola. Sì parlo proprio di Birra Messina.

Una persona del gruppo La Zucca Viola su Facebook mi aveva segnalato l’insolito spot Tv di questa birra perché realizzato completamente in dialetto siciliano che risulta quasi incomprensibile ai più, anche se l’obiettivo con cui è stata fatta questa pubblicità è di sottolineare la provenienza autentica del prodotto. Così sono andata a cercare informazioni online e ho scoperto che la creatività dello spot è realizzata da una famosa agenzia pubblicitaria come Armando Testa e che  dietro il rilancio del brand Messina c’è un investimento del gruppo Heineken.

Nel cercare informazioni ho scoperto anche che quella di Birra Messina è una bella storia a lieto fine. Infatti, nel 2011 l’azienda aveva chiuso i battenti lasciando senza lavoro tutti i suoi 40 dipendenti, ma 15 tenaci operai  consapevoli di saper fare un’ottima birra hanno investito il loro TFR e messo addirittura le proprie case a garanzia di un investimento per fondare una cooperativa, la Cooperativa Birrificio Messina, e mantenere in vita il birrificio. Il loro gesto ha messo in moto la solidarietà di tutta la comunità locale e la partecipazione di Fondazione di Comunità Messina che li ha aiutati a recuperare le risorse necessarie a far ripartire la produzione nello stabilimento di Messina.

Oggi il loro coraggio è stato ripagato perché Heineken – che già negli anni ’80 era stata proprietaria del marchio per poi abbandonarlo perché poco redditizzio – ha realizzato un accordo quinquennale con la Cooperativa Birrificio Messina per la produzione e la distribuzione di una speciale Messina Cristalli di Sale, una birra arricchita con il sale marino delle saline di Trapani che, dosato insieme al luppolo dai mastri birrai alla fine della bollitura, esalta la percezione dei sapori in bocca, senza rendere la bevanda salata. Una partnership commerciale che permetterà allo stabilimento siciliano di fare un notevole salto dimensionale: si parla di 25 mila ettolitri l’anno solo di questa referenza per coprire tutta la forza distributiva del colosso olandese delle birre .

È già molto tempo una strategia dell’azienda olandese, che fa oltre 800 milioni di euro di ricavi solo in Italia, quella di acquisire marchi di birre regionali e portarle alla ribalta nazionale. In Italia, Heineken ci era già riuscita nel lontano 1996 con Birra Moretti, nata in Friuli e che negli ultimi vent’anni ha quadruplicato i suoi volumi. Per ultima è stata la volta di Ichnusa la birra che ha il monopolio incontrastato in Sardegna, che è stata oggetto anche di un restyling di bottiglia ed etichetta molto ben fatti secondo il mio parere e che oggi si trova distribuita proprio dappertutto senza aver perso l’allure di prodotto artigianale, assolutamente in linea con i trend dei consumi di queste bevande.

Mentre, Birra Messina è rimasta di proprietà della cooperativa dei suoi lavoratori (per ora), ma ha fatto un “patto col diavolo”, ovvero Heineken,  che l’ha aiutata a raggiungere una crescita che mai da sola avrebbe potuto realizzare. Insomma, se ci pensate, per una volta è avvenuto una sorta di corto circuito nel processo di globalizzazione della produzione e dei consumi. Chissà se questo modello potrà essere applicabile in futuro anche ad altre eccellenze italiane food e beverage che stentano a sopravvivere alle dinamiche del mercato della distribuzione?  

Certo è che tra il rischio di essere strozzate dalle insegne della GDO, che ormai favoriscono solo la loro marca privata e i grandi brand, o quello di cadere comunque sotto il controllo delle multinazionali dell’industria Alimentare e delle Bevande io purtroppo a queste piccole realtà non saprei proprio cosa augurare!

Valentina Lanza