Tra un panettone e l’altro: riflessioni sul mondo food e come sta cambiando

In questi giorni di brindisi e cene natalizie ho assaggiato un panettone del forno Brisa, nuovo cibo cult dei gastrofighetti bolognesi venduto a circa 30 euro, ma anche un panettone da poco più di  3 euro che si trova in qualsiasi supermercato. La domanda che mi sono fatta è: fino a che punto la diversa qualità delle materia prime e le differenti lavorazioni – artigianale la prima e industriale la seconda – giustificano prezzi così tanto distanti fra questi due prodotti, ma anche un atteggiamento di acquisto diametralmente opposto nel consumatore?

Dietro la scelta fra uno di questi due panettoni c’è molto di più, c’è il mondo dell’Alimentare che si sta radicalizzando da un lato verso prodotti premium e sempre più costosi, dall’altro verso i cibi venduti costantemente in promozione nei supermarket. Uno scenario disegnato anche dal Rapporto Coop 2018 che parla proprio di consumi polarizzati degli italiani a seconda delle loro disponibilità economiche, ma anche del luogo in cui vivono, dell’età e dell’occupazione che hanno, del livello di istruzione e del loro stesso approccio alla vita. Ecco, io sono convinta che proprio l’approccio alla vita e al cibo, più che il solo denaro, influiscano fortemente nella scelta di un bene così voluttuario come un panettone da 30 euro, rispetto ad uno da 3 euro, e di tanti altri prodotti che non servono soltanto a sfamarci.

Da una parte troviamo la rinascita dei piccoli produttori sempre più specializzati in poche e semplici preparazioni – è il caso ad esempio della pizza, della birra, dei formaggi ecc. -ma anche il diffondersi di negozi al dettaglio in cui i cibi non soltanto si vendono, ma in primo logo si assaggiano sotto la guida di brillanti venditori/narratori pronti a raccontare storie affascinanti ad ogni morso. Storie che parlano dei luoghi in cui si coltivano le materie prime, di tradizioni e segreti di famiglia, di lunghi tempi e di piccoli gesti che rendono quei prodotti più saporiti, più sani, più attesi e soprattutto di maggiore valore economico. Quando porteremo in tavola quei prodotti ci porteremo dietro anche le loro storie che vorremo a nostra volta raccontare ai commensali per gratificarci di aver condiviso con loro un’esperienza che non è per tutti, non solo per il prezzo, ma anche perché noi soltanto siamo riusciti a prenotare l’ultimo panettone disponibile di una produzione limitata.

Dall’altra ci sono le aziende industriali che espongono la propria merce nelle corsie di supermercati tutti uguali e tutti affollati sotto Natale di famiglie rumorose e di carrelli che si spintonano per arrivare per primi alla cassa. Ci sono marche che fanno un po’ di tutto, dai biscotti alle merendine, fino alle montagne di panettoni venduti al 40% di sconto fin da un mese prima di Natale. Talvolta troviamo anche hostess annoiate e grassocce che provano ad offrirci ulteriori gadget e promozioni all’acquisto di più confezioni e un costante bombardamento di annunci pubblicitari che ci inseguono dai bollini dei concorsi sulle confezioni alle affissioni nei parcheggi. Insomma, un’overdose di cibo dal quale vorremmo soltanto fuggire prima possibile, anche con il dubbio che non sia poi tanto buono per la nostra salute e con la certezza che anche se non lo compriamo oggi lo troveremo comunque domani e probabilmente costerà ancora di meno.

Tante piccole e medie aziende alimentari italiane dovrebbero riflettere su questo paradosso e domandarsi seriamente da che parte vogliono stare. Per quanto tempo ancora potranno affannarsi ad inseguire le logiche della GDO che sono fatte per le multinazionali e per chi ha decine di milioni di euro da spendere in pubblicità e volantini? Per quanto potranno continuare a saturare le linee produttive con gli appalti delle private label e con prodotti venduti a margini ridicoli?

Il mercato dell’Alimentare sta cambiando, stanno nascendo tanti concept di vendita più piccoli, ma con prodotti selezionati; cresce anche la quota della spesa alimentare online utile per rifornire periodicamente la dispensa di casa o per ricevere uno speciale prodotto di cui non si può proprio fare a meno. Intanto, è già cambiato radicalmente l’approccio delle persone e ciò che loro ricercano nel cibo. Oggi più che stipare di merce i magazzini le aziende dovrebbero imparare a comunicare con questi nuovi consumatori. La comunicazione  è la vera sfida del futuro perché non potrà più essere urlata attraverso gli spot tv, la radio e i banner pop-up, dovrà seguire nuovi canali, raccontare storie, far vivere esperienze personalizzate, offrire contenuti interessanti e parlare alle persone, non ai buyer della GDO.

Tanto per restare in tema di dolci natalizi, il fallimento della Melegatti, l’azienda che per prima ha inventato il pandoro, è forse la sintesi di tutto questo mio discorso. Ma altre aziende alimentari italiane quando lo capiranno?

Valentina Lanza